CHE COSA E’ UNA VALANGA
Sfogliando i diversi dizionari ed enciclopedie che abbiamo in casa possiamo trovare le più svariate definizioni di valanga e slavina con descrizioni più o meno complete ed ampie.
Nel dizionario dei più piccoli, unico tra i tanti, si ipotizza che una valanga possa essere provocata anche da una persona o, in questo caso, da un personaggio dei fumetti … chi non ricorda le valanghe a forma di palla di neve su Topolino?
Gli Uffici valanghe italiani hanno concordato di utilizzare un termine unico: quando si parla di una massa di neve in movimento lungo un pendio, piccola o grande che sia, si parla di valanga.
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Cos’è una valanga
Da “Lo Zingarelli 2000” XII edizione 2000
Valanga: massa di neve o ghiaccio che si stacca dalla sommità di un monte e precipita a valle slittando sui pendii, accrescendosi di volume durante la caduta.
Slavina: da lavina, massa di neve che scivola da un pendio montano.
Da “Dizionario Garzanti della Lingua Italiana” edizione minore 1966
Valanga: massa di neve che precipita a valle ingrossandosi progressivamente e trascinando con se tutto quello che incontra.
Lavina: frana di neve bagnata che scivola da un pendio montano, di solito di primavera.
Da “Enciclopedia Generale De Agostini Compact 1988”
Valanga: massa di neve che precipita lungo un pendio di una montagna ingrossandosi sempre più, trascinando seco altra neve e detriti e abbattendo tutto ciò che incontra. Le valanghe possono essere causate dal vento, da vibrazioni acustiche, dalla pressione dei piedi di un animale ecc.
Slavina o Lavina: non citato.
Sfogliando i dizionari e le enciclopedie che abbiamo in casa possiamo trovare le più svariate definizioni di valanga e slavina con descrizioni più o meno complete e ampie. Le definizioni riportate non sono esaustive ma contribuiscono a formulare una definizione finale. Nel dizionario dei più piccoli, unico tra i tanti, si ipotizza che una valanga possa essere provocata anche da una persona o da un personaggio dei fumetti … chi non ricorda le valanghe a forma di palla di neve su Topolino?
Gli Uffici Valanghe Italiani dell’AINEVA hanno concordato di utilizzare un termine unico: quando si parla di una massa di neve in movimento lungo un pendio, piccola o grande che sia, si parla di valanga.
ORIGINI DEI TERMINI “VALANGA” E “SLAVINA”
(tratto da Colin Fraser “L’enigma delle valanghe”)
Le origini dei nostri attuali termini “valanga” e “slavina” sono da ricercarsi nella lingua latina. Nei testi antichi erano chiamate “labinae” o “lavanchiae”. Lavanchiae è probabilmente di origine pre-latina, forse ligure, ed ha la stessa radice di “lave” che significa scorrere di fango o lava. Molto più tardi la confusione con il vocabolo francese “aval” (che significa “verso valle, all’ingiù”) produsse l’attuale vocabolo “avalanche”, usato in inglese e francese, da cui deriva “valanga” in italiano. Il termine si potrebbe applicare alla caduta di qualunque materiale, ma quando lo si usa senza specificazioni ci si riferisce sempre alla caduta di neve.
L’altro vocabolo latino labinae deriva da “labi” che significa “slittare, scivolare giù”. In seguito la parziale intercambiabilità delle lettere b, v e u originò molti termini propri di particolari regioni alpine come lauie, lavina, lauina e infine l’attuale vocabolo tedesco lawine, introdotto nell’uso corrente da Schiller e Goethe, da cui deriva il termine italiano “slavina”.
La neve
La presenza di temperature negative all’interno delle nubi determina la costruzione del cristallo di neve: esso prende origine dalla sublimazione delle goccioline di vapore acqueo attorno a minuscoli nuclei di congelamento. Ancora nell’atmosfera la temperatura ed il grado di umidità influenzano lo sviluppo del cristallo secondo direttrici diverse: verso l’alto, sui lati oppure sugli angoli, determinando la formazione di diverse tipologie di cristalli. Questi, turbinando nell’aria, possono combinarsi tra loro formando i ben visibili fiocchi di neve. Difficilmente i cristalli arrivano indenni al suolo: già durante la caduta la loro forma può essere assai modificata soprattutto per effetto del vento.
La loro vita al suolo è poi soggetta ad altre trasformazioni, dette metamorfismi, determinate dalle variazioni della temperatura dell’aria che influenza il manto nevoso:temperatura dell’aria prossima agli 0 °C mantiene temperature simili anche all’interno del manto favorendo l’arrotondamento dei cristalli e l’assestamento della neve (metamorfismo distruttivo);
temperatura dell’aria fortemente negativa determina la formazione di strati più freddi all’interno del manto in prossimità della superficie e strati con temperature prossime allo zero in profondità. Questa differenza di temperatura della neve, in rapporto allo spessore del manto stesso, viene definita gradiente. Quanto più esso è elevato, tanto più è favorita la costruzione di cristalli sfaccettati, o a calice, negli strati basali ed intermedi (metamorfismo costruttivo). In superficie, invece, con questa temperatura abbiamo la cristallizzazione dell’umidità dell’aria e la formazione di brina;
il raggiungimento di temperature di 0° C del manto nevoso, dovuto a radiazione solare, irraggiamento geotermico, vento o altri fattori determina la fusione dei grani e dei cristalli di neve (metamorfismo da fusione). Le precipitazioni nevose si sovrappongono cronologicamente le une alle altre formando degli strati con caratteristiche fisiche e meccaniche differenti e tendono a sviluppare forze e tensioni che, sui pendii ripidi, non sempre si controbilanciano: ecco allora che i legami si indeboliscono ed è la valanga.
I tecnici degli Uffici Valanghe delle Regioni e Province Autonome aderenti all’A.I.NE.VA. durante la stagione invernale seguono costantemente l’evolversi della neve al suolo ed elaborano, più volte alla settimana, il Bollettino Nivometeorologico.
La stabilità del manto nevoso
Per manto nevoso si intende il deposito al suolo di tutti i cristalli di neve e ghiaccio formatisi in atmosfera e successivamente precipitati per effetto della forza di gravità: una combinazione di ghiaccio e aria.
Come abbiamo visto, i cristalli, sia in atmosfera sia al suolo, sono soggetti a continue trasformazioni, ed a seconda delle condizioni fisiche e climatiche dell’ambiente in cui si trovano, possono modificare la loro struttura, aggregarsi fra loro, variare i volumi e le forme. Di conseguenza anche le caratteristiche fisiche e meccaniche, e quindi la stabilità del manto nevoso stesso, mutano nel tempo.
La “materia” neve, una volta depositata al suolo, non ha una struttura sempre uguale nel tempo e nello spazio, ma come una specie di “torta”, presenta numerose stratificazioni, con caratteristiche anche molto diverse fra di loro, indice di formazione e successive trasformazioni avvenute in condizioni “climatiche” ed ambientali diverse.
Anche se alla semplice vista può sembrare un corpo rigido, il manto nevoso in realtà ha un comportamento simile a quello di un fluido viscoso, molto denso, le cui proprietà meccaniche dipendono principalmente dalla temperatura e dalla velocità con cui intervengono le sollecitazioni.
LE SOLLECITAZIONI ED I MOVIMENTI
Le sollecitazioni a cui il manto è sottoposto sono essenzialmente compressione, trazione e taglio (fig.1). Ovviamente la capacità di reazione è molto diversa: mentre è relativamente buona per la compressione, possiamo ritenerla piuttosto scarsa, se non pessima, a seconda del tipo di neve e della velocità di sollecitazione, rispettivamente per trazione e taglio.
Se la sollecitazione è applicata molto lentamente si hanno delle deformazioni viscose (fig.2), poiché il manto ha la capacità di assorbire e dissipare la sollecitazione stessa, mentre se l’applicazione è veloce sono molto probabili delle fratture elastiche (fig.3); pensiamo ad esempio al peso di una nuova nevicata che pur rappresentando una notevole sollecitazione, può avere sul manto l’effetto di assestamento, mentre il sovraccarico dovuto al passaggio di uno sciatore potrebbe significare il distacco di una valanga.
In realtà i movimenti lenti del manto nevoso, e cioè quelli che in ogni momento lo interessano e che determinano le deformazioni tipiche della neve, oltre all’assestamento (fig. 4), comprendono anche lo scorrimento e lo slittamento.
Lo scorrimento, a causa degli attriti fra manto nevoso e terreno e fra gli strati stessi, risulta più marcato nelle zone più superficiali; anche lo slittamento, cioè lo scorrimento dell’intero manto nevoso rispetto al terreno, dipende principalmente dall’attrito fra base del manto e terreno stesso, ma è fortemente influenzato dall’angolo di inclinazione del pendio (fig.5).
LA STABILITA’
Come ogni entità fisica presente sulla terra, anche il manto nevoso è soggetto alla forza di gravità che si manifesta con movimenti e deformazioni più o meno evidenti a seconda della velocità e dell’intensità delle forze che entrano in gioco.
Come abbiamo visto, con l’applicazione di queste forze su un piano orizzontale, l’effetto risultante nel tempo è l’assestamento, cioè la riduzione di spessore e di volume con conseguente aumento della densità della massa nevosa e la diminuzione dell’altezza del manto (fig.4).
Quando il piano è inclinato, la forza T, componente parallela al terreno della forza peso P, determina una sollecitazione tale da causare il movimento lungo il pendio. Se questa sollecitazione è veloce e non controbilanciata da attriti e forze resistenti avremo il fenomeno valanga (fig.6). I principali fattori che influenzano la stabilità del manto nevoso sono quindi l’inclinazione dei pendii e l’altezza del manto che, con il loro aumento, accrescono la componente della forza peso parallela al pendio (fig. 7).
Possiamo quindi introdurre il concetto di grado di stabilità S, definendolo come rapporto fra le forze resistenti R, cioè quelle che si oppongono al movimento, e le forze propulsive T, cioè quelle parallele al pendio che tendono a muovere il manto:
S = R/T
E pertanto:
se R>T sarà S >1 e si avranno condizioni di stabilità;
se R=T sarà S=1 e si avranno condizioni di equilibrio precario;
se R< 1 sarà S<1 e si avranno condizioni di instabilità (valanga). Non dobbiamo comunque dimenticare che nella realtà molto spesso la situazione è più complessa a causa dell'estrema variabilità del manto nevoso, che a sua volta è legata alla variabilità di terreno, vegetazione, quota, esposizione, ecc... Nel manto infatti possiamo avere, anche in spazi ridotti, una estrema varietà di situazioni con zone caratterizzate da tensioni molto forti e zone con resistenze molto deboli (fig.8). [/av_toggle] [av_toggle title='La classifica delle valanghe' tags='' av_uid='av-qnngw3']
ZONE DI DISTACCO, SCORRIMENTO E ARRESTO
La zona di distacco è il luogo dove si origina il fenomeno. Sovente è collocata in prossimità delle creste dorsali, al di sopra del limite della vegetazione forestale o dove la neve, a seguito di nuove precipitazioni o del trasporto eolico, si accumula. Qui la neve instabile si frattura e comincia a muoversi. Perché una valanga si inneschi è necessaria un’inclinazione del pendio di almeno 30°; sotto tale valore il distacco risulta estremamente raro. Altri fattori influenzano il distacco: la morfologia del terreno, la quota, l’esposizione, la copertura vegetale ed il sovraccarico esterno.
La zona di scorrimento è l’area compresa tra la zona di distacco e quella di arresto; è qui che la valanga raggiunge la sua massima velocità. Tale zona, spesso, è caratterizzata, oltre che da elevate pendenze, dalla quasi totale assenza di vegetazione arborea o dalla presenza di specie arboree differenti o di età diversa rispetto alle zone limitrofe.
La zona di accumulo è il luogo dove la massa nevosa rallenta progressivamente fino a fermarsi. Può essere un ampio ripiano, un fondovalle o il versante opposto di una vallata. Qui le valanghe possono essere deviate anche da piccoli ostacoli, come gli alberi di un bosco.
LA CALSSIFICAZIONE
Da sempre gli abitanti delle montagne e gli studiosi hanno cercato di classificare le valanghe, ma, date le notevoli variabili che entrano in gioco (tipo di distacco, tipo di neve, posizione del piano di scorrimento…), qualsiasi classificazione è risultata insufficiente per cogliere tutti gli aspetti. L’unico modo per caratterizzare inequivocabilmente un evento valanghivo è definire una serie di criteri:
Tipo di distacco
Si possono verificare due modalità di innesco di un fenomeno valanghivo: il distacco puntiforme che genera una valanga di neve a debole coesione ed il distacco lineare che dà luogo ad una valanga a lastroni.
Posizione della superficie di slittamento
Se la rottura avviene all’interno del manto nevoso si ha una valanga di superficie, mentre se avviene a livello del terreno la valanga è detta di fondo.
Umidità della neve
In base al diverso contenuto in acqua possono essere osservate valanghe di neve umida e valanghe di neve asciutta; queste ultime possono anche essere polverose o nubiformi.
Forma del percorso
Quando la valanga scorre all’interno di un canale o di una gola è detta incanalata, quando invece scorre su un pendio aperto è detta di versante.
Tipo di movimento
Se il moto della valanga avviene a contatto della superficie questa viene detta radente, se invece la valanga si sviluppa sotto forma di nuvola di polvere di neve viene detta nubiforme. Le valanghe miste abbinano entrambi i moti.
Causa innescante
In base a tale caratteristica si distinguono infine le valanghe spontanee e le valanghe provocate.
La tipologia delle valanghe
VALANGHE DI NEVE A DEBOLE COESIONE
Nelle valanghe a debole coesione il movimento si origina a partire da una o alcune particelle di neve incoerente, e durante la caduta si propaga ad altra neve, formando una traiettoria via via più larga, di forma triangolare detta anche a “pera”. Per consentire la propagazione del moto queste valanghe richiedono pendenze superiori a quelle sulle quali si sviluppano normalmente le valanghe a lastroni; è stato osservato che la maggior parte di esse si formano su pendii con inclinazione compresa tra 40° e 60° (fig.9). La neve a debole coesione, quando è polverosa, è molto leggera, ha una densità inferiore a 100 Kg/m3 e la sua temperatura è sempre inferiore a 0° C. Valanghe di neve a debole coesione, alle nostre latitudini, si formano generalmente in inverno, con temperature dell’aria basse e dopo abbondanti nevicate. Se la pendenza del versante non è molto elevata la distanza percorsa da queste valanghe è breve e non si raggiungono elevate velocità. Anche l’estensione in larghezza risulta complessivamente ridotta rispetto alle valanghe a lastroni. Tuttavia le valanghe a debole coesione possono essere anche di neve bagnata; in questo caso la neve ha una densità nettamente superiore con valori prossimi anche ai 300-500 Kg/m3 e temperature vicine agli 0° C. Queste sono molto lente e si innescano su pendii anche inferiori ai 30°.
VALANGHE DI NEVE A LASTRONI
Le valanghe a lastroni sono dovute al distacco improvviso di un intero lastrone di neve coerente, a partire da un fronte più o meno esteso. In esse la neve si stacca a lastre e solo durante il movimento queste si spezzano in frammenti di minori dimensioni. Perché si formi un lastrone è necessario che all’interno della coltre nevosa ci siano strati con una coesione sufficientemente elevata da consentire la trasmissione delle sollecitazioni a grande distanza e che ci sia una scarsa legame tra il lastrone e lo strato sottostante. Ciò avviene, per esempio, per l’azione del vento che determina una frantumazione meccanica dei cristalli di neve con conseguente compattazione dello strato e scarsi legami tra lo strato rimaneggiato e quello sottostante (si parla in questo caso di lastroni da vento caratterizzati da una densità superiore ai 200 Kg/m3). Le valanghe a lastroni possono essere di superficie o di fondo a seconda che si muovano solo alcuni strati superficiali o l’intero manto nevoso. Le prime sono le più comuni: in esse uno strato più fragile funge da piano di distacco e su di esso slitta uno strato più o meno spesso di neve asciutta che generalmente viene apportata dal vento. Ma il lastrone, talvolta, può essere costituito da neve soffice (la densità in questo caso può essere anche prossima ai 100 Kg/m3). Le valanghe a lastroni si formano con maggior frequenza su pendii aventi inclinazione variabile tra 30° e 50°, tuttavia si possono avere distacchi anche con pendenze più basse.
Nella maggior parte dei casi il distacco avviene per un aumento del carico sul manto nevoso dovuto al passaggio di sciatori; le valanghe in questo caso vengono dette “provocate”. Esse possono raggiungere velocità elevate in spazi brevi, presentando una forte accelerazione. In condizioni di versante particolarmente accidentato i lastroni, durante il moto, possono addirittura frantumarsi dando origine a valanghe di tipo nubiforme.
VALANGHE DI NEVE UMIDA
Si definisce neve umida o bagnata quella che contiene acqua allo stato liquido ed ha una temperatura di 0 °C. È più pesante di quella asciutta (con densità variabile mediamente fra 300 e 400 Kg/m3). Le valanghe di questo tipo, che nella zona di distacco possono essere sia puntiformi (a debole coesione) sia a lastroni (a elevata coesione) con distacco per linee spezzate, si formano dopo un forte rialzo termico: sono quindi tipiche, anche se non esclusive, del periodo primaverile. Si possono rilevare anche d’inverno dopo una circolazione sciroccale che abbia instaurato una fase di disgelo o apportato piogge in quota per più giorni. Sono caratterizzate da una velocità di scorrimento piuttosto modesta (30-50 Km/h), e, data la loro elevata densità, travolgono e spingono a valle tutto ciò che incontrano.
Seguono percorsi preferenziali determinati dalla morfologia del terreno, quali canaloni o impluvi del reticolo idrografico. Caratteristiche di queste valanghe sono le striature che talvolta lasciano lungo il percorso, dovute a incisioni sul fondo e sui fianchi del versante operate dai massi e dal materiale detritico trasportati dalla massa nevosa.
VALANGHE DI NEVE ASCIUTTA E VALANGHE MISTE
Se invece la valanga si sviluppa lungo versanti molto acclivi, la neve si mescola all’aria e forma una nube, un aerosol di piccole particelle di neve fredda e asciutta, che scende a velocità molto elevate, anche oltre i 300 Km/h. Si parla in questo caso di valanga nubiforme. La possibilità di formazione di valanghe di questo tipo è legata al distacco di un lastrone di neve asciutta che, scorrendo su un pendio particolarmente scosceso e accidentato, si spezza in blocchi e frammenti ed ingloba grandi quantità d’aria. Se la velocità supera i 100 Km/h, le particelle di neve asciutta si disperdono in una nube (di densità compresa tra 3 e 15 Kg/m3) che scorre a velocità elevatissima, con altezza di scorrimento anche di alcune decine di metri. Essa non segue percorsi preferenziali, ma scorre dritta lungo il versante superando qualsiasi ostacolo morfologico o strutturale; pertanto lo spazio di arresto risulta di molto superiore a quello delle valanghe radenti. Queste valanghe sono caratterizzate dallo sviluppo di un soffio, ovvero un’onda di pressione d’aria che sopravanza il fronte visibile della valanga ed ha un enorme potere distruttivo. La maggior parte dei fenomeni osservabili sono tuttavia costituiti da valanghe miste, nelle quali i blocchi più grossi si muovono scorrendo radenti alla superficie del pendio, mentre le particelle più piccole vengono trasportate dall’aria. Generalmente su pendii ripidi le componenti radente e polverosa procedono alla stessa velocità, mentre su pendii meno acclivi la componente polverosa precede quella radente, percorrendo spazi maggiori.
Gli incidenti da valanga
In questi ultimi 25 anni sulle Alpi sono morte in valanga mediamente un centinaio di persone a stagione invernale, tra queste, una ventina sul versante italiano. Gli sci alpinisti e gli sciatori fuori pista sono gli sportivi più coinvolti sia in Italia sia nel resto delle Alpi con il 60-70 % dei decessi. Le attività sulla neve al di fuori degli ambiti controllati (comprensori sciistici) sono sempre più in espansione e con esse anche gli incidenti e gli eventi tragici; fortunatamente, all’aumento percentuale dei praticanti registrato in questi ultimi 25 anni, non corrisponde una eguale espansione degli incidenti. Le statistiche mostrano anche una diminuzione delle vittime nei territori soggetti a controllo (centri abitati, vie di comunicazione, attività lavorative stabili sul territorio), conseguenza questa dei notevoli investimenti effettuati in opere di protezione stabili (barriere fermaneve, gallerie, cunei di deviazione, ecc.). Tuttavia inverni particolarmente nevosi o situazioni nivometeorologiche particolari, come la stagione 1999-2000 sulle Alpi settentrionali, possono determinare delle nuove situazioni di pericolo, che possono interessare ciò che l’uomo riteneva sicuro. È importante sottolineare che se i decessi per stagione invernale non sono tanti quante le vittime della strada (6000 circa all’anno in Italia), l’incidente in valanga conta 56 decessi ogni 100 incidenti, contro i 3 degli incidenti stradali. Ecco quindi che il problema assume una dimensione diversa, al di là del valore dei piccoli numeri.
Quando “cadono” le valanghe?
È la domanda più frequente che viene rivolta a chi si occupa di valanghe.
Ecco una prima risposta: le valanghe cadono prevalentemente durante la stagione invernale (da dicembre ad aprile) ma si possono verificare anche nelle altre stagioni alle quote più elevate laddove sono presenti ripidi pendii innevati.
Oltre alla stagionalità delle valanghe può essere fatta una distinzione, seppur grossolana, fra le valanghe “immediate”, diretta conseguenza della precipitazione (la neve fresca non si ancora sui pendii o sulla vecchia neve), e quelle “ritardate”che si verificano più in là nel tempo rispetto alle prime (giorni, settimane), a seguito dei metamorfismi e delle altre trasformazioni che normalmente avvengono nel manto nevoso. In particolare il vento, la temperatura, o addirittura l’azione esterna dell’uomo, possono influire significativamente sui “due” tipi di valanghe. Ecco quindi un’altra risposta: le valanghe si verificano durante una nevicata o dopo molto tempo.
La variabilità degli eventi atmosferici e la non sistematica ripetitività degli stessi rendono ancora più difficile rispondere alla domanda. Tutte le stagioni invernali, pur presentando ambienti del tutto simili (boschi e prati ricoperti di neve), in realtà sono caratterizzate da precipitazioni ed eventi climatici sempre un po’ diversi, tali da renderle difficilmente confrontabili fra loro.
La prevenzione
Tutte le attività umane in ambiente innevato devono tenere conto di un possibile rischio di valanghe; è quindi necessario predisporre, nelle zone soggette a tale rischio, dei piani di intervento che consentano di “controllare” il fenomeno valanghivo.
Controllare le valanghe significa:
- individuare e censire le valanghe che possono interessare le zone antropizzate, delimitandone chiaramente le superfici;
- realizzare edifici, strade, impianti sciistici e altre infrastrutture solo in aree sicure;
- realizzare opere di protezione per contrastare le valanghe che interessano le infrastrutture già presenti;
- provocare l’eventuale distacco di valanghe in condizioni controllate;
in situazioni nivometeorologiche critiche, adottare adeguati provvedimenti e misure di sicurezza, quali la chiusura di strade e piste da sci, l’evacuazione di edifici, ecc…
La cartografia
LA CARTA DI LOCALIZZAZIONE PROBABILE DELLE VALANGHE
Lo strumento che permette di evidenziare le aree potenzialmente interessate da fenomeni valanghivi è la Carta di Localizzazione Probabile delle Valanghe (C.L.P.V.).
È una carta tematica, in scala 1:25.000, che riporta i siti valanghivi individuati sia in loco, sulla base di testimonianze oculari e/o d’archivio, sia mediante l’analisi dei parametri che contraddistinguono una zona soggetta alla caduta di valanghe, desunti dalle fotografie aeree stereoscopiche. Essa fornisce le informazioni di base per l’ubicazione di nuovi insediamenti quali abitazioni, impianti sciistici, vie di comunicazione, ecc…, e permette di valutare e progettare le opere di difesa necessarie per un’adeguata protezione. La C.L.P.V. assume quindi una notevole importanza nella pianificazione territoriale delle aree montane.
La metodologia di realizzazione, elaborata in Francia negli anni ’70, è stata adottata anche in Italia dall’A.I.NE.VA., dove viene applicata ancora oggi. Essa si basa su 3 fasi sequenziali: la fotointerpretazione, l’inchiesta sul terreno e la restituzione cartografica. La fase di fotointerpretazione è finalizzata all’individuazione, su fotografie aeree estive, di tracce fisiche o geomorfologiche delle valanghe cadute (presenza di grossi blocchi, assenza di vegetazione arborea, natura del suolo, pendenza). La seconda fase fondamentale del lavoro, l’inchiesta sul terreno, consiste nel reperimento del maggior numero di informazioni sulle valanghe che si sono verificate nei siti in esame, anche nel passato. Tutte le informazioni raccolte vengono infine riportate sulla base topografica, avvalendosi di una simbologia standard che prevede il colore arancione per i dati desunti dalla fotointerpretazione, il colore viola per i dati derivanti dall’inchiesta sul terreno e il nero per le opere di protezione e gli impianti di risalita.
I PIANI DELLE ZONE ESPOSTE AL PERICOLO DI VALANGA
Per l’urbanizzazione in montagna vengono elaborati i Piani delle Zone Esposte al Pericolo di Valanghe (P.Z.E.V.), carte a grande scala (da 1:5.000 a 1:2000) che individuano il sito valanghivo ed in particolare, mediante studi dinamici, la sua espansione nella zona di accumulo. Nei P.Z.E.V. la valutazione del rischio viene fissata tramite parametri matematici, che quantificano velocità e altezza di scorrimento delle valanghe, pressioni trasmesse e distanza d’arresto. Nella zona di arresto vengono individuate tre o quattro aree caratterizzate rispettivamente da rischio forte (colore rosso), debole (colore blu), e presumibilmente nullo (colore bianco); secondo alcune legislazioni è prevista anche una zona gialla, con caratteristiche particolari (zona raggiunta dal soffio della valanga, zone per le quali esistono solo informazioni relative a valanghe eccezionali). In ciascuna delle zone individuate, sono previste prescrizioni urbanistiche ben definite.
Le opere di protezione
La protezione dalle valanghe può essere attuata con misure temporanee o permanenti.
LA DIFESA TEMPORANEA
Quando si verifica un elevato pericolo a seguito di eventi eccezionali (forti nevicate, venti ecc…), normalmente vengono applicati due tipi di interventi puntuali e temporanei. Il principale consiste nell’evacuazione di edifici e nella chiusura di strade e piste da sci tramite provvedimenti straordinari delle autorità competenti o ordinanze emesse dal sindaco avvalendosi delle commissioni locali valanghe.
In casi eccezionali, o più frequentemente solo se previsto da specifici piani di intervento, è possibile intervenire con il distacco artificiale delle valanghe tramite gli esplosivi.
LA DIFESA PERMANENTE
La difesa permanente ha un duplice obiettivo:
- ridurre le condizioni per lo sviluppo di valanghe, agendo sulla stabilizzazione del manto nevoso nella zona di distacco (difesa attiva);
- limitare o annullare i danni dovuti al passaggio di una eventuale valanga deviandone il percorso e proteggendo le infrastrutture (difesa passiva).
La difesa attiva
La difesa attiva si attua con 3 tipi di intervento:
- modifica del suolo generalmente tramite il rimboschimento e la creazione di terrazzamenti che, aumentando la rugosità del suolo, frenano lo slittamento della neve;
- trattenimento del manto nevoso con opere paravalanghe quali ponti da neve, rastrelliere e reti, strutture in legno o acciaio disposte su più linee parallele nella zona di distacco;
- controllo della neve trasportata dal vento tramite barriere frangivento e deflettori che, modificando il flusso del vento, limitano la formazione di cornici in punti particolarmente critici.
La difesa passiva
La difesa passiva si attua con opere posizionate in zona di scorrimento o di arresto della valanga; queste, essendo soggette a spinte dinamiche di notevole entità, sono generalmente di struttura massiccia.
Le principali tipologie sono:
- opere di deviazione: hanno la funzione di far cambiare la direzione di scorrimento delle valanghe radenti allo scopo di proteggere strutture ben definite (argini di deviazione e deviatori), oppure di dividere la massa della valanga in piccole parti più facilmente controllabili (cunei). A protezione delle strade si utilizzano le gallerie paravalanghe;
- opere di arresto: vengono utilizzate per bloccare del tutto una valanga in movimento oppure per rallentarne la velocità e ridurne la distanza di arresto (dighe di contenimento o intercettazione);
- opere di frenaggio: favoriscono la decelerazione della neve in movimento, provocandone l’espansione laterale per effetto di successive deviazioni (cunei frenanti).
Il distacco artificiale
Il distacco artificiale o programmato delle valanghe consente di provocare la rottura del manto nevoso prima che questa si verifichi spontaneamente. Viene utilizzato principalmente per rendere sicure strade e piste da sci e si attua con il piazzamento di esplosivi, o miscele esplosive, nelle zone di distacco. Questo sistema consente di scegliere il momento più favorevole al distacco, chiudendo al pubblico le aree per periodi relativamente brevi. Molte sono le tecniche per l’impiego degli esplosivi; tra le più usate anche in Italia, il GAZ.EX (foto a destra), detonatore in cui due gas (propano e ossigeno) si miscelano in opportune dosi entro un tubo di acciaio, detto cannone, collocato permanentemente nei punti più critici nella zona di distacco della valanga.
L’onda d’urto, provocata dall’esplosione sopra la superficie del manto, determina il distacco e quindi la bonifica del pendio.
Un altro sistema è il Cavo Trasportatore di Esplosivo (CA.T.EX), in cui la carica di esplosivo, sospesa su una fune, viene trasportata sul punto prescelto e quindi, dopo averla calata, fatta esplodere sopra il manto nevoso. Altre tecniche utilizzate nei comprensori sciistici consistono nel piazzamento delle cariche a mano, là dove le zone di distacco presentano un facile accesso, e nel lancio dell’esplosivo tramite elicottero. Quest’ultimo metodo, molto sfruttato nei paesi a nord delle Alpi, trova ancora scarsa applicazione in Italia per le rigide norme che regolano il trasporto degli esplosivi.
Per attuare un distacco artificiale è necessario un accurato studio di intervento che si concretizza nel Piano di Intervento di Distacco Artificiale (P.I.D.A.). Esso è il documento che regola l’intervento degli operatori e deve contenere l’elenco del personale coinvolto nelle operazioni ed i relativi ruoli, i luoghi di intervento, le norme di sicurezza e di comportamento, i tempi di intervento e le priorità.
Le commissioni locali valanga
In Italia non esiste a livello nazionale una legge quadro in materia di valanghe. La legge sulla Protezione Civile prevede una Commissione di Protezione Civile, organo consultivo e operativo diretto dal Sindaco, competente sui rischi ai quali può essere soggetto il territorio comunale. Esiste in alcune Regioni e Provincie Autonome però una legislazione più specifica che prevede la possibilità di istituire, nei comuni a rischio, una specifica Commissione Locale Valanghe con il compito di verificare la stabilità del manto nevoso e di fornire, al Sindaco e agli altri soggetti decisionali, pareri tecnici indispensabili per una puntuale valutazione del pericolo di valanghe e delle eventuali misure preventive. Tali commissioni sono costituite da persone esperte della zona, del territorio e delle problematiche inerenti la neve e le valanghe.
Le zone non controllate
Con la dicitura zone controllate si intendono tutti quei luoghi dove l’uomo normalmente vive o svolge le proprie attività in modo più o meno occasionale; tali luoghi, normalmente dotati di infrastrutture pubbliche o private, sono ad esempio le zone urbanizzate, la viabilità ordinaria, gli impianti sportivi e turistici, le piste da sci ecc..
Molto semplicemente, per zone non controllate si intendono invece tutti quegli spazi dove l’uomo non esercita un diretto controllo e pertanto non può garantire una totale (o presunta tale) sicurezza.
Come è facile intuire quindi, le zone non controllate rappresentano la totalità dei luoghi dove si svolge l’attività alpinistica e scialpinistica, ma anche il fuoripista e l’escursionismo, e gran parte di quelle attività che hanno come presupposto la frequentazione di luoghi più o meno selvaggi ed incontaminati, lontani dai normali flussi.
Dal punto di vista del problema valanghe, lo sciatore che frequenta le piste ufficialmente battute e regolarmente gestite, non ha nulla da temere per la propria sicurezza, così come chi percorre una strada, o si trova presso infrastrutture di qualsiasi tipo regolarmente autorizzate e gestite. Anche se sono ubicate nei posti apparentemente più ostici, come, ad esempio, una pista da sci, una strada o un rifugio di montagna, sono sicure, o rese tali, e costantemente controllate: in caso di pericolo degli esperti deputati al controllo intervengono con le azioni del caso ed in circostanze particolari attuano la chiusura delle strutture stesse.
Tuttavia non dobbiamo dimenticarci che al di fuori di tali zone, anche solo di pochi metri, siamo nel territorio non controllato, non “gestito”, e pertanto potremmo anche trovarci in balia degli eventi naturali più imprevedibili.
Lo sciatore alpinista e l’alpinista, muovendosi normalmente in questo ambiente “non controllato”, devono essere coscienti di tale condizione e pertanto devono rapportare il loro comportamento all’ambiente in cui si trovano, alle situazioni del momento e, se necessario, limitare il loro raggio d’azione, decidere se l’escursione è possibile o meno e scegliere il livello di pericolo da accettare. Per questo serve esperienza, conoscenza dell’ambiente, informazione ma soprattutto prudenza e capacità di osservare e capire. La prudenza e la preparazione devono permettere l’autosufficienza in ogni tipo di situazione ed in caso di incidente nello zaino deve esserci tutto quello che può servire.
Nella stessa identica situazione si trovano anche lo sciatore fuori pista e lo snowboarder che affrontano le loro discese ai margini delle piste battute. Il fatto di trovarsi anche a poche decine di metri dai “luoghi controllati”, non deve ingannare poiché i pericoli e le relative conseguenze, possono essere molto simili a quelli della montagna più severa: unica differenza che quasi mai c’è consapevolezza della situazione, e pertanto spesso mancano anche preparazione e materiali adeguati.
La curva della sopravvivenza
Dall’analisi dei dati elaborati dai dr. H. Brugger e M. Falk su oltre 700 casi di persone sepolte in valanga emerge che se si è estratti subito si ha più del 90% di probabilità di essere ancora vivi (fig.10); le persone decedute risultano aver subìto traumi particolarmente gravi, per cui sono deceduti all’atto dell’incidente (fase della sopravvivenza).
Tra i 15 e i 45 minuti la percentuale di sopravvivenza si abbassa drasticamente, fino a raggiungere il 25%: in questo lasso di tempo se il sepolto, cioè la persona che ha la testa ricoperta dalla neve, ha le vie respiratorie libere ma non ha possibilità di attingere all’aria (es. aria che filtra tra lastroni di neve con compattezza medio-elevata) entra in crisi respiratoria e muore per soffocamento (fase dell’asfissia).
L’attesa di un intervento qualificato di soccorritori, quali unità cinofile o Soccorso Alpino, in particolari situazioni può implicare tempi prolungati: difficoltà a far pervenire la richiesta di aiuto, difficoltà da parte dei soccorsi a raggiungere la zona dell’incidente per condizioni atmosferiche proibitive, ecc. In tali situazioni solamente condizioni particolarmente favorevoli, come presenza di aria e ferite non gravi, permettono al sepolto in valanga di sopravvivere (fase di latenza).
Più il tempo passa ed il sepolto rimane immerso nella neve, la cui temperatura può variare da 0° C a oltre –20° C, più il corpo tende gradualmente a raffreddarsi. Al di sotto dei 35 °C di temperatura corporea subentrano grosse difficoltà cardio-circolatorie che compromettono i principali organi vitali: il cuore ed il cervello. Dopo circa 90 minuti dall’incidente si verificano, probabilmente, i primi decessi per ipotermia (fase dell’ ipotermia).
Bisogna inoltre tenere presente che esiste una stretta relazione tra profondità di seppellimento e durata dello stesso: una persona sepolta entro i primi 50 cm di neve viene disseppellita mediamente entro 10 minuti (77% di probabilità di sopravvivenza), quella sepolta tra 50 e 100 cm viene estratta dopo circa 55 minuti (33%), se sepolta oltre i 100 cm il recupero avviene dopo circa 2 ore (19%).
L’autosoccorso
Dalle statistiche appare abbastanza evidente come per il problema valanghe la migliore protezione sia la prevenzione, e cioè la messa in atto di tutte quelle precauzioni in modo da evitare nella maniera più assoluta di essere travolti. Ma nel caso che ugualmente si verifichi un incidente, come abbiamo visto, i tempi utili per avere delle possibilità di sopravvivenza sono estremamente ridotti, ed allora dobbiamo essere in grado di effettuare quello che viene definito l’autosoccorso, cioè le azioni di soccorso messe in atto immediatamente dai componenti stessi del gruppo che ha subito l’incidente.
Presupposto a tutto questo è che ovviamente non si deve mai essere soli nello svolgimento di qualsiasi attività potenzialmente a rischio che si svolga sulla neve, e che nel gruppo, mettendo in atto tutte le misure preventive, ci sia almeno una persona che rimanga indenne!
A questo punto entrano in gioco semplici strumenti elettronici che, correttamente indossati ed accesi, permettono a chi è allenato nel loro utilizzo, di trovare in pochi minuti i propri compagni muniti di apparecchi simili. Questi piccoli apparecchi prendono il nome di ARTVA, e cioè Apparecchi di Ricerca Travolti in Valanga, ed il loro funzionamento è molto semplice. A seconda del tipo di strumento e delle nostre capacità, è possibile una ricerca sistematica e molto sicura che viene detta “per linee perpendicolari”, oppure una più veloce e più evoluta detta “direzionale” poiché ci porta vicini all’apparecchio cercato in modo quasi diretto (fig. 11). Non bisogna però dimenticare che l’apparecchio ARTVA da solo non basta a salvare un travolto da valanga perché, una volta localizzato il segnale con sufficiente precisione sulla superficie della valanga, bisogna disseppellirlo. Per questo motivo è di vitale importanza avere al seguito una pala sufficientemente robusta ed una sonda: per spalare un metro cubo di neve con la pala sono necessari alcuni minuti. Senza, ammesso di riuscirci, almeno un’ora.
I materiali per l’autosoccorso e sistemi di protezione
L’escursionista invernale mai dovrebbe avventurarsi in montagna da solo: i compagni di gita possono essere di aiuto alle valutazioni ed alle scelte da fare sul terreno ma, soprattutto, sono indispensabili per effettuare un soccorso immediato in caso di travolgimento da valanga.
Perché si possa intervenire efficacemente nei primi 15 minuti e recuperare i sepolti è necessario che tutti siano in possesso e sappiano utilizzare:
• ARTVA, apparecchio di ricerca per la rapida localizzazione di sepolti in valanga. Questo apparecchio, posto in trasmissione all’inizio dell’escursione, viene commutato in modalità di ricerca nel caso di incidente;
• sonda leggera per l’individuazione del punto esatto in cui si trova la persona sepolta;
• pala per poter liberare il più velocemente possibile una persona sepolta: nella maggior parte dei casi la profondità di seppellimento si aggira intorno al metro.
SISTEMI DI PROTEZIONE
Dallo studio della dinamica degli incidenti da valanga è emersa la necessità di ricercare e sperimentare nuovi sistemi di protezione per le categorie d’utenti più esposte alle valanghe: il sistema ABS si avvale dell’applicazione di uno o due “airbag” allo zaino che, gonfiandosi all’atto del travolgimento, favoriscono la permanenza in superficie dello sciatore fuoripista; il giubbotto AVALUNG, predisposto di boccaglio, e collegato ad un filtro separatore di ossigeno ed anidride carbonica, permette al sepolto in valanga di respirare per un tempo piuttosto prolungato (anche più di 50 minuti!).
Il soccorso organizzato
Ma nel caso in cui non siamo in grado di effettuare l’autosoccorso, o se semplicemente abbiamo bisogno di aiuto?
Ecco che allora, magari con una semplice telefonata al n° 118, scattano i soccorsi, e l’autosoccorso lascia gradualmente spazio a quello che viene definito “soccorso organizzato”, organizzato appunto dal Soccorso Alpino.
In questo caso numerosi tecnici, specificamente preparati, arrivano sul luogo dell’incidente, magari con l’elicottero o nel modo più veloce possibile in quel momento, portando con sé le unità cinofile, cioè i cosiddetti cani da valanga, oltre a tutto il materiale utile ai fini della ricerca dei dispersi. A questo punto sarà solo la loro grande conoscenza dell’ambiente montano, delle valanghe, dell’uso dei materiali specifici e delle tecniche di ricerca più attente ed evolute, ma soprattutto l’organizzazione ed il veloce e preciso lavoro di decine e decine di soccorritori, che potrà permettere una soluzione positiva dell’incidente.
Il bollettino nivometeorologico
Fra i vari strumenti di prevenzione il bollettino nivometeorologico, conosciuto anche con il nome di bollettino valanghe, riveste una particolare importanza.
È infatti uno strumento che fornisce un quadro sintetico dell’innevamento e dello stato del manto nevoso, indicandone struttura e grado di consolidamento rilevato al momento dell’emissione su di un determinato territorio. In funzione del consolidamento del manto, della probabilità di distacco, del numero e delle dimensioni delle valanghe stesse, il pericolo presente al momento dell’emissione, viene descritto con un testo sintetico e un indice numerico crescente da 1 a 5, secondo la “Scala Europea del Pericolo Valanghe”. Ad ogni grado è associata una situazione tipo che facilita la comprensione e la sintesi del bollettino stesso. Ma il bollettino non fornisce solo dati di analisi, cioè rilevati ed osservati; sulla base della previsione meteorologica più aggiornata, definisce una possibile evoluzione delle condizioni del manto, fornendo quindi anche una vera e propria previsione del pericolo di valanghe.
Sull’arco alpino italiano i bollettini sono redatti e diffusi dalle Regioni e Provincie Autonome aderenti all’A.I.NE.VA., titolari per legge di tale incarico; sul rimanente territorio Nazionale le informazioni possono essere reperite attualmente presso le strutture Meteomont del Corpo Forestale dello Stato e delle Truppe Alpine, mentre all’estero le informazioni sono garantite da organizzazioni a livello nazionale, in alcuni casi molto simili all’A.I.NE.VA.
Il bollettino è quindi uno strumento informativo che può dare un valido aiuto nel prendere decisioni riguardanti la propria o altrui incolumità; tuttavia chi decide di affrontare il “terreno innevato” deve avere sufficienti basi conoscitive per muoversi correttamente sul territorio e saper riconoscere i momenti ed i punti particolarmente critici.
In particolare il bollettino si rivolge a scialpinisti, alpinisti ed escursionisti, ma anche ad operatori e professionisti della montagna, addetti alla sicurezza, amministratori, organizzazioni di soccorso e protezione civile, forze dell’ordine, gestori della viabilità.
L’emissione avviene, durante il periodo invernale, giornalmente o almeno tre volte alla settimana, ed anche se apparentemente i vari bollettini hanno una veste grafica diversa, i contenuti sono i medesimi. Al fine di favorire un quadro generale per l’intero arco alpino italiano, l’A.I.NE.VA redige anche uno speciale bollettino, disponibile in internet al sito aineva.it, che in sintesi raggruppa alcune delle informazioni contenute nei vari bollettini regionali e provinciali; per chi invece dispone solo di un telefono, tutti i bollettini sono reperibili al numero 0461 230030.
Le prove empiriche di stabilità
Per prove empiriche di stabilità si intendono quelle prove o test che consentono di valutare direttamente il consolidamento del manto nevoso su un determinato pendio in maniera rapida ed efficace.
Estremamente importante in queste prove è la scelta del sito in quanto la zona individuata non sempre è sufficientemente rappresentativa di tutto il pendio, soprattutto su versanti caratterizzati da forte variabilità. Per questo conviene eseguire diverse prove in più punti.
La valutazione della stabilità del manto nevoso è un’operazione complessa che richiede molte conoscenze e grande capacità di osservazione; le prove empiriche forniscono informazioni utili per decidere se attraversare o meno un pendio: “passo o non passo?”
La variabilità del manto nevoso, la difficoltà di esecuzione delle prove e la validità spazio-temporale delle stesse, fanno sì che un margine di incertezza comunque rimanga sempre.
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